Credo sempre molto nell’importanza di trovare modi inusuali per comunicare, anche se questi non saranno apprezzati da tutti, anzi, anche se saranno criticati.
Qualche tempo fa ho pensato di presentarmi attraverso un breve racconto di fantasia, non scritto da me ma “commissionato” ad una persona che stimo molto, una scrittrice, Patrizia Pietribiasi, che mi conosce piuttosto bene. Ho pensato di darle alcune parole chiave a me molto care e chiederle di inserirle in un racconto che io non avrei toccato in alcun modo. Ne è uscita una storia molto bella che mi rappresenta moltissimo. Una stupenda sinergia che dimostra come la collaborazione, la sintonia e la voglia di osare possono portare a dei risultati sorprendenti. Ecco la storia, se avrete la voglia e il tempo di leggerla…
– Mi avvicinai alla finestra e vidi che il mio giovane amico era tornato. Saltellava qua e là per il giardino, il becco immerso nel soffice abbraccio dei fili d’erba, le piume spettinate dal vento che soffiava lento in direzione del vecchio pozzo. Erano passate ormai due settimane dal nostro primo incontro, da quando quel suo elegante battito di ali lo aveva condotto fino al cuore della villa, eppure la sua ostinata riservatezza dimostrava che non si era ancora abituato alla mia presenza.
Ciò che più lo interessava era quel pozzo, passava le sue giornate a imbastire curiose danze lungo le sinuosità del massiccio bordo nella costante ricerca di sollevare un coperchio e rivelare un segreto lungo più di trecento anni. Sembrava affascinato da ciò che avrebbe potuto celarsi al di sotto, al riparo di quel prezioso stemma disegnato nel ferro con una cura estrema e un ineguagliabile e artistico buon gusto.
Di tanto in tanto nel suo ripercorrere, con le esili zampette, l’intero percorso di quei tratti raffinati in perfetta armonia con la magia del luogo, il suo sguardo sincero si spostava dal pozzo per posarsi sul mio viso al di là del vetro. Si sentiva osservato ma non osava avvicinarsi. Allora io lo lasciavo fare, fingevo di occuparmi di altro mentre in realtà lo spiavo con garbo nascosta dal drappeggio di una tenda.
Sentivo il vibrare del suo petto, l’affanno del suo respiro, l’esplodere della sua fatica messa a dura prova, appena qualche giorno più tardi, dalla pervicacia della pioggia mentre lo vidi adoperarsi con grazia e fermezza per rendere il suo nuovo nido perfetto, semplice quanto straordinariamente accogliente e funzionale. Aveva curato ogni dettaglio, cercato e ricercato il luogo e i materiali migliori per restare lì dove il caso, o forse più un’intuizione, lo aveva scortato.
Mosso da una passione vibrante era riuscito a dar vita all’esclusività del suo mondo, a un’oasi di piacere e di pace che in poco tempo aveva suscitato l’attenzione e sollevato le invidie di chi, come lui, sognava di arrivare sempre più in alto. E quando poi, un giorno qualunque, mi armai di coraggio e con riserbo lo liberai dal poderoso coperchio, un rumore stridente lo fece dapprima sobbalzare e poi planare a tutto becco nel silenzio profondo del suo mistero.
Guardai in basso e due sfere diafane dal contorno celeste bucarono il buio per colpirmi violente in pieno petto, allora indugiai ma subito dopo capii di essermi finalmente guadagnata il suo rispetto. –